
Per caso, attitudine o semplice, inevitabile necessità, tutti i Padri Fondatori del web design moderno, come Jeffrey Zeldman, Jeffrey Veen, Dave Shea, Douglas Bowman, sono stati insieme scrittori, architetti dell’informazione, grafici, e soprattutto codificatori di strutture ipertestuali e fogli di stile. Progettisti che un tempo avremmo definito ‘multimediali’ e che ci hanno insegnato che acronimi spaventevoli come XHTML o CSS non nascondevano codici segreti degli informatici, ma proponevano strumenti e mezzi per nuovi autori su nuove piattaforme di comunicazione e interazione.
La diffusione pervasiva della Rete ha portato con sé la specializzazione delle professionalità, ma il web design è davvero un campo grigio dove si incrociano e convergono in un unico spazio saperi, conoscenze e tecniche transmediali. Un campo dove forse vale la pena giocare ancora, nonostante le app, i dispositivi mobili e i grandi social network abbiano costruito recinti tanto attraenti quanto chiusi: le pagine web (o le viste della nostra app preferita) sono là, pronte per noi, che dobbiamo soltanto scrivere centoquaranta caratteri o fare tap e non preoccuparci di altro.
Eppure, il valore di una tua pagina web e, per estensione, di un tuo sito web, che altro non è che un insieme iperconnesso, semantico, razionale, coerente, leggibile e usabile di documenti HTML, che a loro volta consistono di un insieme di etichette iperconnesse, semantiche, razionali, coerenti, leggibili e usabili, quel valore sta tutto nel grado di identità e appartenenza e riconoscibilità che nessun format predefinito di nessun social medium di massa potrà assicurare.
Quando più di sedici anni fa iniziai a navigare nei blog (che non sapevamo ancora fossero blog) dei Padri e a progettare per il Web, e mi avvicinai a quegli strani segni che erano i tag HTML, capii due cose, anzi tre, che valgono ancora oggi, nell’èra di Facebook.
La prima: l’HTML era davvero facile, se anche un laureato in giurisprudenza come me poteva comprenderlo e impararlo.
La seconda: quelle pagine visualizzate in Netscape erano uno spettacolo, se di spettacolo si può parlare per le pagine web degli anni novanta, a uso e consumo della lettura degli uomini, ma la vera prima lettura era del browser (insieme, scoprii poco dopo, ai motori di ricerca).
La terza: l’HTML non era così facile come sembrava. La scelta di quelle etichette, di quegli attributi e di quei valori non era tanto un’operazione di maquillage, quanto un’architettura dell’informazione corrispondente a quella che il navigatore avrebbe trovato visualizzata all’interno della finestra del proprio browser.
In altre parole, il codice è progettazione dell’informazione, è design dei contenuti, è comunicazione verso le macchine prima e gli uomini poi.
Ho scritto le 144 pagine di Progettare per il Web (Carocci Editore, novembre 2013) per provare a trasmettere questa consapevolezza, oltre che esempi pratici di codice HTML5 e CSS3 applicabili a casi di studio reali. Da una parte, la struttura. Dall’altra, la presentazione. Al centro, i contenuti e la progettazione per il World Wide Web. Perché, se la progettazione deve tenere conto della natura del mezzo, delle sue potenzialità e dei suoi limiti, la conoscenza dei linguaggi — attraverso i quali il mezzo si esprime — aiuta l’autore a progettare e realizzare siti, pagine web e contenuti migliori tanto quanto la conoscenza dei principi dell’architettura dell’informazione o della teoria del colore.
Paolo Sordi
Progettare per il Web
Carocci Editore
Pagine: 144
Edizione: 2013
Collana: Bussole (485)
ISBN: 9788843070060