I Am: Remix Your Web Identity

Paolo Sordi, I Am: Remix Your Web identity

La decisione di Andrew Sullivan di chiudere il suo blog sembra segnare la fine di un’epoca iniziata un anno prima del 2000: l’epoca di Pitas e Blogger, l’epoca dei diari personali aperti al pubblico, ai commenti, alle conversazioni, alle condivisioni e alle ridistribuzioni.

In realtà, e a prescindere da tutte le specificità di un caso come quello di Sullivan (che è stato anche e soprattutto un tentativo imprenditoriale), il blog, o meglio: il blog così come concepito e nato nel 1999 ha iniziato a morire da almeno dieci anni.

Che cosa faceva il blogger del XX secolo? Come ricorda Rebecca Blood, usava Metafilter e condivideva link. Poi, con la sua interfaccia minimalista, immediata e invitante (titolo, corpo del testo, pubblica), Blogger crea la forma del diario e amplifica voci inedite e personali che scoprono una scorciatoia formidabile per pubblicare sul Web un pensiero, un racconto, una foto, un video. Con Blogger nasce la prima killer app del Web 2.0.

Il problema è che subito dopo vengono alla luce altri sicari, con armi molto, molto specializzate. Vuoi condividere un link? Delicious (che riposi in pace). Vuoi un album fotografico? Flickr (dieci anni fa; oggi: Instagram). Vuoi pubblicare un video? YouTube. Vuoi tenere un diario? Facebook. Vuoi mettere in luce le tue competenze professionali? LinkedIn. Vuoi buttare giù una riflessione veloce o segnalare un collegamento interessante? Twitter. Vuoi scrivere un articolo? Medium.

Il blog non è morto, insomma, piuttosto si è frammentato in tante piattaforme di socializzazione che dal blog hanno assunto alcuni tratti e alcune features di base (l’ordine cronologico inverso, i commenti, i permalink) ma che dal blog si sono allontanate in verticale, offrendo ognuna caratteristiche e funzioni specifiche che ne hanno favorito un’adozione ancora più di massa.

L’esodo dal caro, vecchio sito personale non si è più fermato, e con i social network la voce (che fosse amatoriale o professionale) ha conquistato un pubblico potenziale esponenzialmente più numeroso, ma ha perso unità di spazio, libertà e indipendenza. Perché Facebook, Twitter, Medium (solo per citarne alcuni) hanno costruito tanti Hotel California dai quali è difficile se non impossibile uscire, una volta che sei entrato. La ricompensa in termini di visibilità ed esposizione è tanto alta quanto narcisisticamente irrinunciabile, ma, nonostante la apparente gratuità dell’accesso e del servizio, esiste un prezzo da pagare che non è solo quello della privacy (ammesso che qualcuno tenga ancora alla riservatezza). L’altro prezzo è la rinuncia al controllo dei propri contenuti, sottomessi (venduti?) alle logiche editoriali, commerciali e finanziarie di algoritmi, newsfeed e timeline che le società padrone del Web 2.0 gestiscono dall’alto sfruttando la produzione dal basso.

Non è certo un caso che l’unica tecnologia del blog a scomparire dagli orizzonti dei social media di ultima generazione sia stata la Really Simple Syndication, che permette ai contenuti di un sito di essere scritti e pubblicati in un contesto ma letti e riscritti, senza particolari e trascendentali conoscenze di sviluppo, in altri cinque, dieci, venti piattaforme diverse, senza che l’autore e/o editore ne possa gestire più il flusso.

Il Web dei feed RSS e dei blog (o ciò che ne resta sedici anni dopo) è però quello che Jeffrey Zeldman chiama il nostro Web, la ragnatela ipertestuale e scrivibile inventata da Tim Berners-Lee, contrapposta a quella proprietaria e scritta imposta dagli smartphone, la Rete aperta dell’open-source, del PHP, dell’HTML, dei CSS, di WordPress (rigorosamente punto org), in opposizione a quella dei giardini dorati ma chiusi delle social app.

È in quel Web libero che una voce inedita e personale può davvero ancora affermare, controllare e condividere la sua identità ed è a quel Web che ho pensato scrivendo I Am: Remix Your Web Identity (Cambridge Scholars Publishing, febbraio 2015). Una sorta di guida al blogger del XXI secolo.

Paolo Sordi
I Am: Remix Your Web Identity
Cambridge Scholars Publishing

Pagine: 140
Edizione: 2015
ISBN: 978-1-4438-7156-3