Due anni fa, in occasione della celebrazione dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, con il Dipartimento di Scienze umane della LUMSA pubblicavamo la Digital Commedia.

Il progetto è una narrazione ipertestuale e transmediale che si colloca nella oramai copiosa tradizione di riletture dantesche. Per l’adattamento della cantica dell’Inferno, la Digital Commedia recupera l’ipertesto del world wide web come dispositivo letterario di narrazione e riflette metacriticamente sull’architettura sociale favorita dalle piattaforme applicative di Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft. Il risultato è una mappa di storie, aziende e personaggi che hanno contribuito a rendere la rete digitale uno spazio buio e distopico, luogo di vizi e peccati corrispondenti allo schema della prima cantica della Commedia — sebbene non nella sua totalità.

Immerso nel web, iscritto ai social media, connesso a smartphone e tablet, Dante è il protagonista di 10 racconti in cui scende negli abissi della rete guidato dal suo Virgilio, alias Tim Berners-Lee, ideatore di un web non ancora dominato dal modello pervasivo e totalizzante degli algoritmi di monetizzazione delle app. In una discesa che lo conduce a una serie di «interviste con uomini schifosi», Dante incontra lo sviluppatore del pulsante ‘Like’ e ritrova Paolo e Francesca, amateurs lussuriosi su un noto canale televisivo concorrente di YouTube. Fa la conoscenza di Kevin Systrom e dei filtri della sua applicazione. Cerca di capire se Napster prima e Spotify dopo abbiano fatto bene o male alla musica. Riceve commenti sul suo naso e il suo cappello dagli hater di professione. Scopre modelli di guadagno e ricchezza basati sulla commercializzazione della propria vita. Naviga tra i clickbait delle homepage dei quotidiani online. Apprende le regole del caos e della discordia da un Gran Maestro. Segue la ricetta che, miscelando il falso con il vero, produce la realtà. Prova a disconettersi da GAFAM e uscire a rivedere le stelle. Senza riuscirci, forse.