Trip

In inglese lo chiamano trip, con tutte le sue lisergiche implicazioni semantiche. Viaggi da una stazione della mente a un’altra confondendo il ritorno con la partenza e la partenza con il ritorno, un po’ perché l’aria calda che esce (quando esce) dai condizionatori dei treni di Trenitalia diffonde sostanze che leniscono il tuo dolore di cliente coatto e inacidiscono le tue facoltà intellettuali non del tutto intatte, un po’ perché per te i binari non sono una linea retta e parallela (come direbbe il poeta) ma una polistil senza bandiera a scacchi – tagliata per contenere i costi.

Il Capotreno ti manovra con vissuta maestria e divertimento infantile e asseconda un Disegno Cinico, piuttosto che Intelligente. Sul Grande Foglio, piccole caselle contengono piccoli ritratti di piccoli capi di piccole stazioni in attesa del treno che passa o che già è passato. Perché è il Capotreno a decidere se fermarsi, quanto tempo sostare, dove farti scendere e quando farti risalire per un nuovo giro ad alta velocità. Magari un giorno ti farà anche oltrepassare il confine, un tocco di internazionalizzazione, che va tanto di moda, e telefonando a casa potrai dire: sai, oggi mi sposto da Zagarolo a – tieniti forte – Fontainebleau. Ulalà.