Colori metropolitani

Se ti muovi sotto terra, il tuo comportamento può essere spiegato da tre ragioni:

  1. sei una talpa;
  2. ti hanno seppellito frettolosamente;
  3. viaggi in metro.

Nell’ipotesi c), il tuo viaggio quotidiano si presta a una serie di inquietanti accostamenti metaforici, la discesa verso gli inferi primo fra tutti. (Non che prendere l’aereo e andare in cielo sia molto meglio, sotto questo punto di vista, a meno che tu non creda sul serio al paradiso.) Il problema è che la logica si rifiuta di accompagnarti al di sotto del livello del mare, se il solo scopo è evitare il traffico e arrivare prima al lavoro. Se nel tunnel qualcuno conservasse un minimo di rigore semantico, potrebbe esistere un ossimoro come rosso permissivo? Non dovrebbe essere un’esclusiva dei semafori di Napoli? E perché non abbiamo mai sentito parlare di verde inflessibile? O di giallo-vedi-un-po’-tu-ma-poi-sono-cazzi-tuoi? In realtà, quando scendi nei sotterranei della metropolitana, i colori sfumano, o meglio: perdono saturazione, come se tu indossassi un paio di occhiali da sole in una giornata nuvolosa. Fate caso ai piccoli pannelli pubblicitari all’interno dei treni: il loro aspetto è spento, marginale, consunto, al punto che hai l’impressione realistica che le locandine dei teatri promuovano gli abbonamenti di due stagioni fa. E guardate le facce dei passeggeri, ovunque uguali, a Roma come a Parigi: facce in bianco e nero, isolate, mute. In attesa della luce del sole e del segnale del cellulare.